Recensione a La ricostruzione di Parigi di Paolo Gera

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“La ricostruzione di Parigi (ai tempi della presente guerra)” è un libro singolare che interseca diversi generi letterari, coerentemente con l’idea di letteratura di un autore che, come abbiamo già precedentemente fatto notare, non crede in una suddivisione della letteratura in compartimenti stagni. Questo libro è allora innanzitutto un diario esistenziale, che racchiude in sé anche un libro di viaggi, digressioni saggistiche e di critica letteraria, considerazioni su arte e architettura, analisi sociologiche, rivendicazioni politiche e libertarie, alternando la prosa con significative inserzioni di testi poetici, compresa la riscrittura parodica dantesca, e di poesia in prosa, con suggestioni neo-avanguardistiche.

Il filo conduttore è senz’altro la denuncia di una condizione di esclusione, percepita con disappunto e lacerazione interiore, dovuta a “Quello”, invitato scomodo e innominabile, che ha per tutti e per ciascuno causato una rivoluzione delle proprie consuetudini, delle proprie libertà, della propria vita in senso lato. L’esperienza pandemica – significativamente non menzionata con una formula di originale reticenza, annunciazione di uno stato di “mobilitazione generale” per una guerra poi effettivamente connotatasi bellicamente in Ucraina – viene allora ritratta secondo una varietà di angolazioni che fanno del non allineamento alla logica dominante – ritenuta dall’autore puro conformismo o sottomissione – la dimostrazione dimostrata di una individualità non omologabile, ma anche capace di farsi comunità con chi intende dissentire. Questo libro è prima di tutto testimonianza di una militanza insonne che – facendo proprie molte intuizioni di Benjamin, di Aragon, di Baudelaire, di Celan e di molti altri ancora, per lo più ascrivibili alla categoria dei dissenzienti – si ritaglia nella scrittura un proprio spazio di emancipazione, alla ricerca di quella “scrittura nomade“, che è aspirazione a non accasarsi aprioristicamente nei luoghi comuni, nelle frasi fatte, nel conformismo dei mezzi di comunicazione, nei comportamenti stereotipati. Senza un preordinato schema temporale o spaziale, la scrittura obbedisce solo alle proprie ragioni interne, con il risultato di una ricchezza espressiva e una varietà di temi e di stili, che riflettono la visione policentrica dell’autore, consapevole del crollo di ogni ideologia di riferimento, ma non per questo arreso ad un pragmatismo di comodo.

Interessante notare come il libro si chiuda, simbolicamente, con la visita ai luoghi pasoliniani di Casarsa, spazio di incontro e di riscoperta di quel valore etico e militante della letteratura che il maestro incarna, ricettacolo fuori dalle convenzionali mete turistiche, e quindi capace di mantenere intatti silenzio e raccoglimento, così necessari nella nostra società dell’esibizionismo e della chiacchiera. Tutto coerente con un libro che non disdegna l’impiego di scarti logici e voli pindarici, e una certa verbosità affabulatoria e qualche raffinato coup-de-theatre, ma attraversato da un filo sotterraneo di ragionata maturazione del dissenso, espresso con misura, con ragionevolezza, con intuizioni spiazzanti, senza la presunzione di poter esprimere verità apodittiche.

Fabrizio Bregoli

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