Il primo romanzo di Tommaso Barbanera si segnala per una sincerità disarmante – una specie di programmatica battaglia senza quartiere all’eufemismo– e per la necessità compulsiva di mettere a nudo ogni particolare della propria storia personale e del proprio corpo. Si potrebbe dire, a ragion veduta, che chi voglia entrare nell’inferno privato dell’autore deve lasciare fuori dalle porte ogni speranza riguardo al politicamente corretto. Il contenuto è sporco e disperato, bukovskiano, celiniano, incentrato su un flusso di coscienza che piuttosto di elevarsi a ricordo depurato dagli anni, gratta la rogna dei rapporti familiari e personali, sino a far affiorare la carne viva. Siamo topi anche se ululiamo da lupi o ruggiamo da leoni. La nostra sporcizia ci è stata tolta per l’asetticità del laboratorio, lo sappiamo. Però quando si tocca il fondo, si riesce finalmente a ridere. L’erotismo qui è talmente esaperato e ricco di particolari da risultare parodistico. Piccoli voyeur sbavano. Ma ci si può eccitare e intanto morire dal ridere? Forse sì.
Il protagonista, che il meccanismo dell’autofiction rivela come lo stesso autore, pratica un lavoro insoddisfacente e mal pagato, ha un rapporto senza filtri con l’alcol e le droghe, vive i suoi momenti di esaltazione o quando pratica le arti marziali in vere palestre Barnum o quando fa sesso con partner nevrotiche o armoniose. Ma le arti marziali sono depurate dall’etica mishimiana per rivelare che ci si batte per colpire ed essere colpiti, senza nessun sconto, a mani nude, senza aggeggi virtuali, e anche il sesso è un corpo a corpo senza sovrastrutture sentimentalistiche. In “1984” di George Orwell gli incontri sessuali non legittimi sono punibili per legge. La storia della letteratura ci ricorda che la libertà corporale, carnevalesca, contestatrice di Rabelais termina la sua parabola e trova la sua aberrante negazione nella macchina descritta da Kafka “Nella colonia penale”, che strazia la carne dei condannati incidendo le norme della Legge a cui si è disobbedito.
Il corpo. A questo romanzo va il merito di affrontare la grande rimozione dei nostri tempi. Il titolo “L’animale umano” designa un lato selvaggio e non addomesticabile che oggi, per una scelta di riscatto e libertà, dovrebbe proporre il lato del desiderio come antidoto formidabile alla pianificazione sociale delle pulsioni indirizzate. Il corpo come gloria e il corpo come ricettacolo di funzioni scatologiche che Tommaso Barbanera non ha vergogna di gettare su tappeti lussuosi e su muri affrescati. Dall’altra parte c’è la Bestia, il Leviatano, il sistema di sorveglianza sovrumano e subumano, che gestisce attraverso i suoi strumenti mediologici, informatici, burocratici, la nostra esistenza quotidiana, incasella le nostre voglie, sorveglia che i nostri pensieri e le nostre azioni non possano ereticamente scartare dal pensiero e dalla condotta unica. Tommaso Barbanera ne “La bestia umana” è come se avesse studiato la biopolitica di Foucault e che la declinasse non in un saggio-studio, ma nell’esperienza scottante della biografia, sul confine fra ciò che è lecito e ciò che da tempo non lo è più, con l’invito pressante di scrivere sempre e comunque la trama a modo nostro.
Paolo Gera, pubblicato in Fissando in volto il gelo l’8 novembre 2023
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