Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo

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Note sull'autore

Descrizione

Un romanzo a due voci. Due terre, la liguria e la toscana, di sensibilità e repertori linguistici contigui, insieme vicine e lontanissime.

 

Gli emigranti, i contadini, i pastori, gli struggenti paesaggi rurali popolati di fantasmi e di storie senza tempo, sono i personaggi più incisivi che popolano le pagine di questo libro corale, cupo, potente, a tratti allucinatorio. 

 

Un assassino, fuggito da un penitenziario, è sull’altopiano. L’aquila insiste nei suoi voli. I giorni passano e un anziano del luogo e l’assassino si affrontano a fucilate. È un’estate rovente. Il toro si rende protagonista di scorribande che incutono paura e rievocano antiche storie. Il padrone, affetto da manie, non riesce a riportarlo nella stalla. Finché il toro non verrà catturato dalle forze dell’ordine. Tutto sembra essere risolto. Invece è l’inizio della tragedia.

 

Scheda di approfondimento

 

«Quando Pardini mi telefonò per dirmi scrivi un saggio su questi racconti, Magliani è bravo, scrive come gli antichi e io sono quello di sempre, chiuso nella gabbia azzurra delle poiane, io allora ho sentito il toro di Maupassant, lo sfinimento dell’arlesiana di Berlioz, la messa funebre, povera e intristita di Mattia Preti, il mare morto di Giuseppe Abbati, ucciso dal suo cane furioso. Senza un rimpianto, senza piangere, senza voce. Non potevo che confessarvelo.» Dalla postfazione di Arnaldo Colasanti al volume.

 

«Ventre e culatte incrostate di concime, dopo l’inverno nella stalla, Broggi venne portato in un prato, sul declivio dell’altopiano. Ci arrivò trascinandosi sulle zampe malferme, gli zoccoli che sembravano lunghe ciabatte di gomma. Sebbene nato deforme, il padrone non l’aveva venduto vitello: intendeva farlo crescere e ingrassare per smerciarlo al mattatoio. Broggi era grosso e tozzo, una bella testa come il fratello, selezionato per la monta. Anche lui avrebbe montato. Quando portavano le vacche in estro, e il padrone menava fuori il fratello, s’alzava sulle ginocchia mugghiando basso, tra affanno e lamento. Poi sfoderava il nerbo, rosso e guizzante, un lungo pugnale che esce e rientra nella guaina.» 

 

«“Ha una faccia da puttana che se li mette in colonna puntellano la luna” ricordava. E pensò che l’avrebbe voluta vedere in faccia questa donna.- 

Pioveva meno, ma le giacche erano bagnate.

Qua e là lungo la terrazza di Ca’ di Turli, marcivano biciclette e giocattoli. Una piscina di plastica, di quelle di vetroresina, coperta da un telo.

Qualche vecchia pianta piena di cicatrici, segni di pazienza, scudetti di ciliegi su piante inselvatichite, un innesto a zuffolo su un fico tutto storto, la corteccia aveva coperto tutto e formato i suoi calli.»

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