Descrizione
In un’America di cameriere sessantenni in minigonna, cow boys che si rincorrono col lazo lungo le provinciali che costeggiano la prateria, tir sfavillanti che trasportano case mobili divise in due e mandrie di bisonti che tagliano la strada all’improvviso. Tanto, chi ci passa da quelle parti?
Scheda di approfondimento
«Osservo questi uomini e donne grassi sfondati come trichechi, incastrati dentro a seggiole di plastica miserabili, devastati dal diabete, dall’alcool e dalla fatica delle loro vite. Sembra che abbiano perso la memoria di tutto. Che nessuno ricordi più di discendere dai guerrieri che annientarono il Settimo Cavalleria di Lunghi Capelli Custer. Incapaci di immaginare di essere stati un popolo glorioso. È a questo che sto pensando quando d’improvviso, alle mie spalle, sconfinato come la prateria e come l’intero universo, tragico e potente come la voce di Dio, sale un rullio di tamburi che squarcia l’aria, sfonda il cuore, lo scuote, lo gonfia, lo sconquassa. Cerco da dove arrivi e non appena lo individuo, si leva il canto sacro e lacerante dei suonatori. Sono morta. I guerrieri resuscitati d’un tratto e tutti intorno a me, con le loro voci tonanti e il galoppo di cavalli fantasma nella prateria. Zoccoli che rullano ed esplodono nelle viscere. Vago con lo sguardo alla ricerca di Pit e Cosetta. Singultano a pochi passi da me. Gli indiani non ci badano. Ci lasciano piangere in pace. Uno di loro mi passa accanto. Senza fermarsi dice: “È il battito del cuore della Terra.”»
C’era lo stesso vento sul mare d’erba a Little Big Horn quel 25 giugno del 1876? Stiamo calpestando gli stessi rilievi su cui picchiavano gli zoccoli dei cavalli degli Oglala di Cavallo Pazzo e degli Hunkpapa di Toro Seduto. E li sentiamo ancora qui. Malgrado i tradimenti, lo sterminio, la brutale esclusione dell’oggi. Cavalca ancora l’Indiano. Quello che ognuno di noi, almeno una volta, ha sognato di essere nel corso della propria vita.
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