Descrizione
I due estremi verso cui la poesia è attratta sono l’inno e l’elegia, l’estasi e il lamento, e la poesia, anche quella italiana, nel tragico ‘900 e nell’ancor più tragico decennio del nuovo secolo, tende fortemente al lamento.
Ma questo libro, che deve molto alla lirica d’oltralpe, tenta di salvare un lembo del «fresco guanciale» della fiaba dell’io, e dallo scenario della nostra casa della vita manda note di desolazione, ma anche limpidi squarci di gioia, segnali del nostro onnipresente nichilismo e vivi segnali di speranza nel trascendente. Lingua inconsueta («Tu taci, taci, se ti lasci andare/ lo sai, parli una lingua insopportabile», ma colloquiale e mai oscura.
Si tiene, quasi come a un ritorno del rimosso, a ritmi a noi familiari, endecasillabo, settenario e verso libero, e sta dalla parte di quei lettori che, come auspicava per sé T.S.Eliot, di fronte a una poesia vorrebbero esclamare «così io parlerei se potessi fare il poeta».
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