Il mio nome è Legione

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Note sull'autore

Descrizione

Questo romanzo racconta la storia di Demetrio, giornalista trentenne, e del suo rapporto con determinate figure della memoria, pubblica e privata, che da sempre lo ossessionano e lo influenzano.

Il racconto si muove sul filo della deriva psicologica – tra reticenze e confessioni, sprofondamenti nel dramma e soprassalti ironici, non privi del sentimento di una conquistabile felicità: vi si mescolano, come le tessere di un misterioso mosaico di cui si debba ricostruire il disegno originario, le apparizioni di Renato Curcio, il fantasma di Mohamed Atta, il Cristo di Quattordio, la veggente in comunicazione con l’anima di Vittorio Alfieri, le spoglie di Cesare Pavese e l’icona della giovane pallavolista che nasconde nel suo passato il misfatto più grande, l’omicidio della madre e del fratellino – la giovane imperatrice che condensa su di sé i crismi fondamentali della coscienza edipica occidentale.

Queste epifanie, collegate alla morte del padre del protagonista, all’infanzia turbata dalla misteriosa disfunzione sessuale del fratello minore e poi al rapporto masochistico/sadico con Giulia e con le donne che in generale popolano la sua esistenza, convincono Demetrio d’essere stato toccato dal male. Un cammino che solo alla fine sembra accennare alla possibilità di trovare un ordine, e di redimere il male senza esorcizzarlo.

«Ora ho capito che il male è come per alcuni la grazia. Il male è la mia grazia. Ho accettato che sono male. Così avrò salva la vita. Non essere nel male avrebbe significato essere perduto. Sono nel male e sono salvo.»

Scheda di approfondimento

A cura di Transeuropa, insieme con l’autore il libro è stato presentato da Giulio Mozzi in prima nazionale alla Fiera del Libro di Torino lunedì 18 maggio alle 12.30 presso la Sala Autori B.

Il mio nome è Legione è l’anatomia del male quotidiano in tutte le sue implicazioni: sofferenza, colpa, necessità, rabbia, stupore, incomprensione.

È un testo che procede per salti temporali, tableaux roulants e figure. Fatti e personaggi non sono collocati nello spazio orizzontale della storia, collegati fra loro da semplici nessi di causa/effetto, ma in base al loro rapporto – verticale, astorico, trascendente – con dio e col male.
La struttura narrativa, che scompone la storia – le ellissi, l’alternarsi e incrociarsi delle vicende lungo piani temporali diversi – apre varchi che mettono in comunicazione episodi e personaggi, pubblici e privati, storici o quotidiani che siano, secondo un dispositivo formale perfetto nel rendere la fluttuazione dei movimenti di coscienza del protagonista.
La voce che narra, asciutta e precisa, unisce il realismo delle vicende narrate con l’inesorabile lucidità delle riflessioni. È una voce crudele e intransigente, che scarnifica la polpa romantica dello sguardo, le suggestioni delle memorie.
Alla fine di questo romanzo il male resta ciò che è da sempre, ma ha cambiato polarità. Il male è nell’essere, ed è l’altro nome della nostra libertà di scegliere il bene, di perseguire il bene. La presenza del male è l’imperfezione che ci consente di amare l’essere nella sua debolezza. Se infatti l’essere fosse già in salvo, domanda per noi questo protagonista dalle molte voci e “incarnazioni”, perché ce ne dovremmo curare? Noi portiamo la colpa, il marchio della nostra violenza, noi siamo i custodi di nostro fratello.

«Sto leggendo un manoscritto, un romanzo inedito: si intitola Il mio nome è Legione. È un magnete di sangue umano. È la tragedia, l’attraversamento totale nel male. Non coincide con la mia poetica, a scanso di equivoci: è altro da me, ma è la stessa cosa che io sono, che tutti noi siamo. Come Paolin sia riuscito ad aggregare, con una profondità di sguardo e di scrittura al limite del tollerabile, elementi così arcaici e contemporanei, in un’odissea personale, che ha l’ineffabilità cupa e gloriosa delle catabasi, è un miracolo. Ecco un libro fondamentale. Ecco una struttura che sposta più in là la linea dell’espressione necessaria, fondativa – ciò che si perde nelle sofisticherie finzionali a cui è abituata ormai la narrativa italiana. Questo viaggio argonautico, tutto al singolare disposto al plurale, è stupefacente. Non voglio dire nulla della storia, voglio soltanto asserire che Paolin fa crescere, con una pressione interna che schianta, un personaggio universale, ai limiti del teologico. Questo è un oggetto narrativo urgente.»

Giuseppe Genna

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