Descrizione
In una caletta chiusa da tre lati e aperta sul mare, quattro personaggi vivono dei ricordi della loro vita passata nelle viscere della natura aspra: quella Liguria di Ponente già protagonista de La ballata della piccola piazza e che ancora una volta non si limita a fare da sfondo, ma è elemento essenziale del racconto.
Damìn, Viturìn, Bellagioia, Rosy, Badulìn e gli altri personaggi gravitano intorno a un ecosistema apparentemente immobile ma in cui sono proprio i minimi movimenti, i tempi infinitesimi della natura, a dettare il ritmo dell'esistenza.
E proprio gli elementi naturali – una cornacchia, un vecchio ponte – parlano e pensano per ripercorrere in vesti nuove la leggenda di un nuovo Sisifo e del suo destino, non imposto da una divinità ma scelto consapevolmente.
Perché Damìn ogni giorno risale verso la vecchia casa sulla scogliera? Quale scelta lo condanna, quale dolore lo tiene vivo?
Un racconto che respira tra la danza leggera delle foglie d'autunno e il mare in miniatura che, di notte, culla i sogni fantasiosi di una gioventù lontana.
«Un mattino di fine settembre nella conca riappaiono i fenicotteri. Con ampi giri, lenti, sfruttano l?aria ascensionale, sempre più in alto, senza muovere le ali, finché, minuscoli, puntano il vasto mare.
«Damìn, i fenicotteri» grida dall'affasciato di limoni Bellagioia.
Damìn apre la persiana della sua stanza, davanti a lui il muro di rocce di Grimaldi, i fenicotteri in alto, pronti a spiccare il salto verso l'Africa.
«I nostri antenati tutti gli autunni passano a salutare noi che siamo rimasti qui e abbiamo perso le ali.»
La terra di Lanteri, pur trovandosi in questo mondo, ci porta in quello delle favole che gli uomini si raccontano per non morire.
Ecco: è l'invisibilità la lezione di Lanteri, l'arte di velare anime e cose, sottraendole ai tarli, sospingendole, come farebbe un passeur, in una sorta di eden, dove la felicità sia riconoscersi vicendevolmente, ora delibando il Calvados, ora sminuzzando una radice di proverbio, ora indossando lo stupore.
La conca è una chiesa e questa storia è una preghiera.
dalla postfazione di Marino Magliani
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