Recensione ad “Amori & disincanti” di Valerio Vigliaturo

Transeuropa Edizioni Recensione Recensione ad “Amori & disincanti” di Valerio Vigliaturo

Valerio Vigliaturo, Amori & Disincanti, transeuropa, 2020

Valerio Vigliaturo, narratore e cantante jazz, esordisce in poesia con “Amori & Disincanti”, opera prima che opta per una via che vuole discostarsi dai più frequentati sentieri tracciati dalla poesia contemporanea italiana, precisazione, quest’ultima, necessaria. Adotta, infatti, campiture larghe, talora di tipo poematico, con accostamenti di brani – all’interno di un macrotesto (pseudosezioni), unico segmento recante titolo – che seguono dinamiche interne, ed erompono con scarti di prospettive e oggetto, seguendo flussi di coscienza riversati in un linguaggio incalzante, accelerato anche dall’assenza di punteggiatura.
Il primo blocco di testi (senza titolo, gli altri – significativi – sono: Dalla parte oppostaLa parabola dell’esistenza – la più corposa -, De sidus e De sideribus) propone, tra i primi, alcuni versi che potremmo immaginare quasi come una dichiarazione di vita e poetica: «vorrei esplodere ed evadere/ congedandomi da questa detenzione» (p. 5); «qui si soffoca/ non c’è più mistero» (p. 35). 

E’ palese, seppure con eccezioni e varianti, il registro narrativo, prosastico – con incisi gergali (flippati, sballare, celerini, vu’ cumpra’ ecc), e monologante-recitativo, con unità frastiche e ancor più periodali ampie. Si legga, uno dei tanti possibili esempi:

«[…] E’ quella che mi attrae
a seguirti tra quei cerchi
mentre tu velocemente attraversi
quella strana rappresentazione
a forma di orologio a reazioni nucleari
fino all’uscita, quando ci ritroviamo
al fine del nostro peregrinare
imprigionati insieme alle altre comparse
per un’intervista spaziale» (p. 7)

L’io poetico si embrica, con buona sovrapposizione, all’io biografico, con i ricordi, i suoi incontri e il suo vagare dai tanti toponimi.
Gli “amori”, (un generico “tu”; qualcuno che «ci chiama amore»; un ricordo agrodolce del padre, chiaroscure storie di relazioni), sono antiliricamente legati da una “e commerciale” a dominanti disincanti, e lasciano a quest’ultimi il colore prevalente della raccolta; disincanto non solo per gli amori («un rapporto folgorante/ amaro e desolante»; «a essere coerenti/ ci si lascia dietro/ tanti scheletri») ma per l’uomo, per la società e perfino per la civiltà attuale, «grande arena/ dove sono in pochi/ a giocarsi la partita».
Il disincanto ha la voce della perdita e della disillusione, è nel vagheggiare una purezza perduta, nell’assistere allo sparire di «fiabe e poesie cavalleresche», sostituite da «un niente imbevuto di niente» e dalla venerazione del nulla, da parte di chi «non sa amare/ ma solo distruggere l’altro», e di chi ha cosparso d’«odio […] ovunque/ per terra e per mare/ il pianeta piangente» in un tempo nel quale «esistevano grandi ideali».
Il senso di perdita talora sfocia in un timore di non-vita («ditemi che passeremo/ ancora un’estate […]/ piena di vita», in un ricorrente e partecipe conflitto tra il desiderio e la realtà (come per tutto il poemetto De sidus, dove anche e ancòra si celebra «il rito/ dell’eterno disinganno»). Ne scaturisce una difficoltà a riconoscersi nell’incertezza dei giorni, ma ancor più nella bruttura dilagante, negli «intrighi e inganni molteplici/ [di una] commedia irreale».
Un ricorrente uso pronominale e concettuale della “parte opposta” (“voi”, “la gente”, “loro”) traccia perimetri, distanze e fratture tra sé e gli altri, il fronte opposto. Talora una bassa voce fa intraudire un anelito, ma presto deluso, sofferto, frustrato dal sopraggiungere «senza sconti/ disumana, spietata/ [della] solitudine», («dannata solitudine», viene precisato, e ancora «solitudine assoluta») al punto che il poeta sente l’«inappartenenza», quale unica scelta e sola resistenza. Emblematico è, tra gli altri, il testo che inizia con Statemi vicino (pag. 26) che riporto tra i testi scelti a corredo.
Nell’ultima serie di testi, De sideribus, un’aura meno densa e cupa si fa a tratti largo, come se il poeta accogliesse un desiderio di pacificazione e rinnovata speranza, o quanto meno operasse interiormente in tale direzione, ponendo sulla linea di un orizzonte auspicato «il progresso materiale/ o spirituale della società» «nel percorso naturale/ che la vita rigenera» «tenendosi per mano/ per promettersi il futuro» «a ogni risveglio/ col sorriso stampato/ di chi è sereno». E, superando le contingenze di amori incompiuti o impermanenti e il sapore acido dei disincanti, non cedere alla gravitazione degli eventi e «alzare lo sguardo in alto/ verso interminati spazi».

Alfredo Rienzi, marzo 2023



da Dalla parte opposta


Ingenui gli adoratori del caso
mentre sono intenti a sconfessare
le prove lampanti sulla creazione
credono invece ciecamente
al destino, la fatalità degli incontri
l’interpretazione dei sogni
le vincite all’Enalotto
la macchinette e la roulette francese
se ne stanno a bordo di una piscina
ologrammi piatti e bidimensionali
a bere stucchevoli cocktail
di brodi primordiali

(pag. 15)



da La parabola dell’esistenza


Ditemi com’è alta la notte
ci sovrasta attoniti
il silenzio ricolmo di allusioni
quante sono invece le sirene
i campanelli d’allarme
a rovinare i nostri sonni
Che ci stiamo a fare
in questa grande arena
dove sono in pochi
a giocarsi la partita?
Perché cerchiamo lo scontro
piuttosto che l’incontro
Basta un soffio
per far cadere un castello
di fiabe e poesie cavalleresche
un niente imbevuto di niente
per precipitare nel baratro
Ne valeva la pena?
solo questo dovremmo chiederci oggi
se siamo disposti a sacrificare
la nostra fierezza
perdere un p’ di sé
per abbracciare te

(pag. 21)



Statemi vicino
voi guardiani del destino
da carcerieri e carnefici
uniformi e divergenti
tu che sembri comprendermi
salvo poi ricrederti
Venite alla mia festa
a cibarvi delle mie membra
uno dopo l’altro
ergono mura, divieti di transito
no e ancora no, in ogni ambito
Un giorno mi troverete
sulla sponda del fiume
ad accarezzare il vostro pube

(pag. 26)



da De sidus


Avresti voluto essere speciale
quella che cercavo
quando ero puro
mi hai scritto un giorno
Puro come l’oro
che tu da orafo modelli
privo di impurità
Puro nei pensieri
nelle parole e nelle azioni
come quando avevo vent’anni
e tutta quella poesia
la consegnai ad Afrodite
nel mio viaggio spirituale
alla ricerca della donna ideale
prima di salpare per un ventennio
lontano da Itaca
naufragare e ritrovare
con te la purezza

e quindi uscimmo a rivedere le stelle
dopo aver sconfitto tutto il male
puro e disposto a salire alle stelle
per sapere se Sarà per sempre
l’amor che move il sole e le altre stelle
e rende vero questo desiderio
de sidus, de sideribus

(pag. 55)



Stare aggrappati alla vita
per superare la perdita
sul ciglio di un ponte tibetano
dietro c’è l’amore smarrito
un richiamo ancora vivido
davanti ti aspettano
ombre di forme che brillano
in mezzo ci sono le paure
spingono a oltrepassare
peripezie per attraversare
in un verso o nell’altro
il fiume silente e raggelato

(pag. 56)



da De sideribus


Cos’è l’infinito
questo desiderio
che ci assale improvviso
mentre ce ne stiamo seduti
nella rocca aldobrandesca
il bisogno di mirare altrove
alzare lo sguardo in alto
verso interminati spazi
attratti dalle luci
perché il finito non ci basta
per essere sovraumani
e aspirare all’immensità
che il mondo ci esclude

(pag. 64)

di Alfredo Rienzi

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