In questa torrida estate mi ha accompagnato una lettura fra le altre estremamente interessante. Difficile da sintetizzare e questo già offre uno spunto di riflessione: è un caleidoscopio di nuclei narrativi che procedono per piani di sequenza assolutamente irregolari, senza un continuum, ma è scritto con la velocità feroce del pensiero. Perché la velocità è di per sé una volenza, se non siamo alle Olimpiadi di Parigi! L’occhio è fatto per guardare lontano e il pensiero filosofico è lento, saggio, prudente. Questa velocità non è casuale: è un monito; ci dice per primo dove stiamo andando. L’approdo, infatti, avrà il sapore del ritiro di Catone, dell’hortus conclusus, del dialogo riacquistato a caro prezzo con la Natura sovrana, ieri come oggi dopo ogni violenza.
Anche i personaggi, proprio perché parte della Natura, sono stati tutti preda di qualche forma di violenza, di indicibili crudeltà tant’è che tutto inizia con un’afasia selettiva in cui il pensiero cova il dolore mortale proprio nel vano tentativo di reprimerlo.
L’amore non sembra sfuggire a questa tenaglia agghiacciante, al vortice che avvolge i personaggi, preda ora delle morbosità oscene rese ancora più reali dal sospetto che siano solo frutto del digitale, ologrammi di depravazione raramente raggiunti senza l’intervento di AI. Cosa siamo mai andati a creare? Un orrido circo che diverte seviziando?
Questo libro si legge, ma la narrazione si “vede”. Nasce in 3D. Merita una sceneggiatura e trasposizione cinematografica. È un romanzo agghiacciante, violentissimo, originale eppure così tanto innovativo proprio perché osservante della più classica delle tradizioni: è tutto costruito intorno ad una tragedia. La tragedia del Santa Rita? O delle depravazioni compiute sul corpo perfettamente innocente di Annarelle? No, sulla tragedia che noi stessi stiamo beotamente e beatamente creando intorno e dentro di noi, perdendo ogni rispetto per la purezza, per lo stato di perfetta innocenza che solo sta nella Natura.
È un romanzo sulla perdita, ma anche un forte grido, un grido che mette i brividi, è un BASTA! Stiamo giocando al massacro in nome di una “evoluzione” inesistente se così distruttiva.
Non è il solo “filo” del romanzo, tessuto su più piani, come si diceva. Ma è quello capace di creare più rintocchi. Resta un intrico di emozioni espressi con un linguaggio terso, senza fastidiosi anglismi, in una sintassi agile, tradizionale, con periodi brevi come il battito del cuore capace, a tratti, di rallentare o di farsi più veloce. Resta la parte più umana del testo.
Flammini sta mettendo a punto la sua voce. Deve ancora operare delle scelte, ma è una scrittura intrigante che mi ha fatto buona compagnia.
Articolo di Lorella Rotondi, 8 Agosto 20124
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