Recensione a Il quindicesimo compleanno di Rosaura Galbiati

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“Il libro di Rosaura Galbiati, Il quindicesimo compleanno, Transeuropa, Massa 2023, non è facile da collocare. Quella che io chiamo “scrittura di esperienza” procede dall’ordine al caos, dalla coscienza all’inconscio, dal dicibile all’ impresentabile, dal racconto al frammento; l’autobiografia, a sua volta, presuppone che sia l’io di chi scrive a esporsi direttamente, a dare forma e significato ai suoi ricordi. La struttura del libro di Rosaura, pur con qualche somiglianza con entrambe, procede con modalità del tutto diverse. Il riferimento autobiografico è innegabile, sia per quanto riguarda l’esperienza che viene raccontata, sia per la vicinanza tra la personalità della protagonista, Laura, e quella dell’autrice, così come emerge dalla scrittura stessa. Ciò che Laura dice di sé – immaginazione esondante e bisogno del pensiero di controllare e interpretare – è anche quello che sta alla base dell’andamento del tutto particolare del libro: un linguaggio lirico, con forte e felice radicamento nel corpo, nelle emozioni, nelle fantasie, nelle sfumature del sentire e del sogno, e, nel medesimo tempo, un rigore quasi scientifico, da entomologo, nel catalogare, interpretare, riordinare consapevolmente i vissuti che emergono spontanei e imprevedibili.

La prima pagina si apre con la vista del mare, che torna, subito dopo, come metafora:

“… i suoi bisogni e la sua immaginazione insieme tendono a debordare, creare esondazioni pericolose”

Seguono pensieri, legati al luogo della vacanza estiva dove festeggerà il suo quindicesimo compleanno, accompagnati quasi sempre da immagini, che a loro volta si vanno a collocare nel corpo, associati a sensazioni fisiche e al bisogno di controllo. Quello che viene detto del carattere di Laura in apertura del libro richiama la costruzione stessa del libro, e quindi tratti che riportano a chi scrive -“quasi avesse un compito da svolgere: rappresentare mentalmente ogni cosa a cui attribuire un significato”. La narrazione si muove rigorosamente dentro un tempo circoscritto -un mese, visto nel suo scorrere giornaliero, un giorno particolare, il compleanno, i pochi giorni che lo concludono -, e si può dire che abbia come protagonista il pensiero di Laura, con le sue innervazioni corporee, immaginarie, animali, con la sua attenzione costante, precisa, determinata a cogliere, portare in evidenza ogni idea, sentimento, sensazione, per potergli dare un “significato”. Un racconto e insieme una analisi meticolosa del “vissuto” -un legame costante tra mente e corpo – con l’intento evidente, dichiarato, di poterlo elaborare e comprendere.

La domanda che mi viene da porre è : come si racconta una adolescenza? E, a seguire, come ha scelto di raccontarla Rosaura? Raccontarla in prima persona vuol dire affrontare un tempo della vita che ritorna nella memoria con tante zone di oscurità, di cose innominate e innominabili, con le sue riserve e i suoi riserbi, la sua frammentarietà. Scegliendo una narrazione in terza persona -e perciò una protagonista, una trama ben delineata, Rosaura ha optato per quello che forse è il suo bisogno di procedere con il massimo di ordine e consapevolezza. In altre parole è la donna adulta, con le sue conquistate chiarezze e libertà a ritornare sul lontano passato di una adolescente ancora coinvolta nel tumulto di sogni, aspettative, sentimenti opposti di ritiro, solitudine e bisogno d’amore, di socialità. Tutti i conflitti, gli interrogativi, i sogni di un’età della vita stretta tra l’infanzia e l’età adulta, tra il timore e il desiderio di una sessualità ancora sconosciuta, sono descritti nel loro comparire e mutare quasi giornaliero, con la precisione di chi ormai li padroneggia con sapienza e amorosa comprensione. E’ la donna di oggi a ridare corpo, voce, pensieri, sentimenti a un tempo decisivo della propria vita, e, nella sovrapposizione, costruire una figura esemplare nel suo passaggio di età e nel suo percorso di formazione: dal sogno alla consapevolezza, dalla chiusura in se stessa a una socialità dove l’amicizia ha posto quanto l’amore, dalla dipendenza dai genitori alla sua autosufficienza.

Tema centrale nel racconto non poteva che essere la sessualità, un sentire che si fa strada lentamente attraverso le immagini di un film, di un sogno – e che muove “sensi” ancora indefinibili del corpo, e un inferno nella mente. Uno “stato nascente” comincia a farsi strada attraverso le “fantasticherie”, insieme al bisogno di fuggire dalla “monotonia di casa”, sottrarsi alla “invadenza della famiglia”. L’accompagna una visione del futuro che sembra emergere, più che dalla sua giovane età, dalla esperienza della donna adulta che scrive: “lei sa già abbastanza delle rappresentazioni sociali che riguardano la femminilità: delicatezza, passività, bisogno di sostegno e, soprattutto, il ruolo obbligato della maternità. Al contrario, lei sa che che non vorrà mai avere figli, non si caccerà in quel fastidio (…) qualsiasi stereotipo materno ai suoi occhi appare ridicolo.”

Altro tema è il ricorrente riferimento agli animali, sia quando compaiono nelle metafore, sia quando Laura ne parla direttamente come “bisogno di essere lì, accanto a loro”, una vicinanza che fin da piccola “la placava”.

“…le manca la presenza degli animali; avrebbe bisogno sempre di averne qualcuno attorno, se non sono presenze vive da osservare e da amare, almeno deve poterli leggere nei libri o vederli nei documentari. Durante l’infanzia gli animali c’erano sempre stati, come immaginazione, come veri paesaggi della mente; sin da piccola sentiva in corpo un’affinità immediata con tutte le bestie del cosmo che nasceva naturale (…)Tra lei e le bestie scattava una simpatia spontanea, animale, appunto”.

C’è un altro passaggio del libro che fa capire meglio perché la vicinanza con gli animali rappresenti anche una angolatura per leggere il libro. Mentre Laura sta con le gambe raccolte sotto di sé a guardare il tramonto, le passa vicino uno scarabeo:

“…le trasmette la sua voglia di vivere, la sua serietà e soprattutto la sua autentica dimensione. Non c’è niente che l’insetto le possa nascondere, la sua natura e il suo scopo nel procedere sono chiari e del tutto spontanei, guidati solo dall’istinto che in lui non fallisce.”

Gli animali sono dunque, agli occhi di Laura, ma si può pensare anche dell’autrice, una perfetta, armoniosa combinazione di animalità e ordine, istintualità e leggi sicure che la controllano. Di questo amalgama riuscito tra elementi opposti e complementari da conto, nella sua originalità, la scrittura di Rosaura Galbiati, tenuta sul filo di una rigorosa, quasi scientifica, precisione concettuale e, al medesimo tempo, attraversata da una felice liricità. E’ una scrittura che arriva facile, immediata, avvolgente, che costringe a pensare mentre distrae, apre davanti agli occhi paesaggi inaspettati, induce alla divagazione e al sogno.

Nell’avanzare del racconto anche la sessualità esce a poco a poco dal sogno -il bacio del principe indiano che campeggia in un arazzo della camera di Laura, il fremito profondo che la sveglia – e trova volti e luoghi reali. E’ la cabina dove si incontrerà con Mauro, il ragazzo che l’ha sfiorata entrando con uno sguardo di inequivocabile interesse per lei, le giornate che vi fanno seguito e che sembrano confermarla di un sogno realizzato, per arrivare alla sera del suo compleanno, quando scoprirà di lui tratti della sua storia inquietanti e la fine di una intimità illusoria.

La chiusura traumatica di un rapporto d’amore appena iniziato, e in cui aveva creduto di poter vivere “momenti di intensa emozione mai appartenuti alla vita concreta”, trova, con immediatezza sorprendente per chi conosce i turbamenti dell’adolescenza alle sue prime prove di accettazione, la strada dei saggi ragionamenti di una donna consapevole di sé, forte della sua capacità di riconoscere e accettare l’altro nella sua diversità.

“Un’autonomia di giudizio, superiore a quella corrispondente alla sua età anagrafica, ce l’aveva sempre avuta e quella implicava autodisciplina (…) c’era bisogno di andare a fondo nel capire quello che le era successo, capitato tra capo e collo proprio alla fine di quella straordinaria vacanza, proprio il giorno del suo attesissimo compleanno..”.

A farsi voce, racconto, disciplina di un vissuto prossimo a sconfinare nel caos “sempre in agguato” è, non a caso, la scrittura, il luogo dove le parole si depositano sicure di trovare una loro “compiutezza” e dove il pensiero può continuare il suo “lavoro interiore”.

Articolo di Lea Melandi per il Manifesto, 27.05.2024

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