Sofferenza, inquietudine, malinconia, rimpianto e speranza sono le sensazioni e gli stati d’animo che caratterizzano i versi dell’autore Gabriele Berardi nella silloge Minime (Editore Transeuropa, anno di pubblicazione 2022, pagg. 64) composta di sessanta poesie che suscitano nel lettore un coinvolgimento emotivo vivido e d’impatto. Le parole si trasformano in immagini che risultano tanto più incisive quanto più ridotte all’essenziale. Perché è proprio l’essenzialità, appunto, a rappresentare l’autore non solo essendo cercata nella silloge, ma apparendo anche come una propensione spontanea dello stesso. Il racconto di un ricordo, di un pensiero, di un presagio non ha bisogno di troppe parole per essere portato alla luce e condiviso, bastano quelle giuste che con grande abilità Gabriele Berardi racchiude rigorosamente, per ogni componimento, in cinque versi, né uno in più né uno di meno. Tutto ha la fisionomia di un’istantanea che coinvolge i cinque sensi non solo dello scrivente ma anche del lettore, che riesce a vedere e a percepire i respiri e i sospiri del suo animo travagliato e sofferente. Da una parte c’è la dolcezza di un sentimento forte e importante qual è l’amore, e dall’altra l’amarezza della perdita, della fine e del fallimento dello stesso. Ogni poesia ha un incipit pregnante, – ed ecco il motivo per cui l’autore fa benissimo a meno anche dei titoli, dei quali tutte le poesie risultano mancanti – una parte intermedia narrativa-descrittiva, ed una conclusiva ‘risolutiva’, spesso amara e stroncante. «Fermo immagine: (incipit) / i miei capelli, / i tuoi occhiali, / i nostri sguardi / (parte narrativa-descrittiva) in direzioni diverse (conclusione ‘risolutiva’)». Pur essendo l’amore per l’altro sesso il tema principale dei suoi componimenti, l’autore scrive anche di amicizia – «Quanti dischi ti ho prestato / amico mio? / Ora la neve non cade / e noi scordiamo / di stringerci la mano» – e affetti familiari – «Mio padre mi regalò / una piscina olimpionica. / Io non compresi che / quella vasca era piena / delle sue lacrime.» – dove la nostalgia e il rimpianto divengono gli stati d’animo predominanti. Il suo stile è indubbiamente laconico ma profondo e ricco di sfumature che riesce a rendere bene sulla carta e a ravvivare accostando gli elementi naturali alle sue emozioni e/o viceversa. È così che l’inverno e la pioggia – elementi che rimandano a stati d’animo cupi – descrivono meglio il suo sentire e sono i termini che utilizza senza parsimonia, mentre la primavera, il sole e il cielo limpido – metafore di stati d’animo positivi – hanno nei componimenti un posto marginale, ma non insignificante perché al di là delle battute d’arresto, degli intoppi e delle sofferenze che la vita riserva, mai viene a mancare nell’autore la speranza di una realtà agognata, migliore, più accogliente e benevola – «Decifrare / cartine geografiche / per non perdere / il respiro / della primavera.» – verso la quale il poeta si lascia traghettare dalla poesia, attraverso il sogno e il desiderio, che lenisce le sue ferite consolandolo come solo una madre attenta e amorevole sa fare. Ecco, dunque, che i luoghi dell’anima si dilatano, superando quei confini spazio-temporali che la realtà impone… così i ricordi vivono nel presente, caricati di quel pathos che tutto avvolge e ridimensiona, arricchendo e intensificando l’inesorabile oblio del tempo. Per nulla geloso del suo sentire, né timido nell’esposizione, Gabriele Berardi apre le porte della sua casa interiore, lasciandoci agevolmente scandagliare gli angoli più riposti delle sue ricche stanze dell’anima. Il poeta si dà nella sua autenticità, nei brevi e intensi attimi di quei quadretti fotografici che sono lo specchio disincantato del suo sentire. E come l’alternanza della marea restituisce alle onde ora l’impeto del possibile ora la calma della rassegnazione, il poeta si mantiene in equilibrio tra le due sponde senza troppe attese, ma nemmeno del tutto rassegnato a quella che è la realtà del suo vivere quotidiano, perché del domani nulla si può prevedere mai con certezza. Berardi racconta frammenti della propria vita e li dona così come sono, quasi una riflessione, fatta però con il ‘setaccio’ degli anni, osservando dall’alto la sua storia… come un narratore forgiato dalla prospettiva del tempo ma mai del tutto arreso agli inganni della vita e desideroso di riscatto – «Guarda in alto, / verso il sole: / non farti accecare, / fotocopia il tuo futuro. / Rendilo desiderio» –. Le ‘Minime’ curano le ferite del suo malessere, che non è mai respinto dal poeta ma sempre accolto e trasformato, paradossalmente amato… perché senza di esso non ci sarebbe l’incanto, il balsamo e il mistero della stessa poesia. C’è una melodia nascosta nei versi dell’autore, una sonorità dolce e incisiva al contempo… un’armonia che nella lettura ad alta voce dà il senso del compiuto, del gradevole e della soddisfazione all’ascolto. Gabriele Berardi non è un poeta qualunque, né uno di quelli i cui versi si dimenticano presto, perché nel suo ‘mal di vivere’ c’è tutta l’inquietudine di un’anima nella quale ognuno può facilmente riconoscersi, perdersi e ritrovarsi.
Teresa Laterza
INTERVISTA
Quando ha iniziato a scrivere poesie?
Ho iniziato durante l’adolescenza a scrivere i testi delle canzoni per i gruppi in cui suonavo. Non tutti i testi finivano per diventare canzoni e quindi venivano messi in una cartella sul computer per essere, forse un giorno, ripresi. Nel 2016 ho preso una pausa dalla musica e ho iniziato a scrivere delle poesie dedicate alle escursioni che facevo in montagna. Queste poesie, influenzate dall’ ambiente alpino, erano riflessioni che ripercorrevano la mia vita. Nel 2018 è uscita la mia prima raccolta poetica dal titolo “Riflessi” pubblicata da Oédipus.
Cosa significa scrivere poesie per Gabriele Berardi?
Per Gabriele Berardi scrivere significa portare in superficie delle cose che altrimenti resterebbero nascoste. Una sorta di autoanalisi non sempre facile.
Cosa pensa possa dare oggi la poesia alle nuove generazioni?
Verità, pensiero, dolcezza, delicatezza, amore.
Come è nata l’idea di questa raccolta poetica?
La raccolta minime nasce dal voler cercare di darmi una regola nello scrivere. Cercare di dire qualcosa di denso e intenso in pochi versi. Più precisamente in 5 versi. L’ ispirazione è arrivata da una canzone di Mark Hollis, compianto cantante e compositore anglosassone. Il pezzo, dal titolo A Life (1898- 1915), è una canzone contro la guerra in poco più di 7 righe.
Ha in cantiere altre opere poetiche?
Lo scorso anno ho chiuso una raccolta dal titolo provvisorio “tra le rovine di una cattedrale”. In questo momento ho chiuso una raccolta di racconti dal titolo “Amour” e la sto inviando a varie case editrici.
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